Ci sono cose che capitano una sola volta nella vita e visitare il castello di Issogne durante un evento privato, di sera e con la guida di Omar Borettaz, responsabile del Fondo Valdostano della Biblioteca Regionale di Aosta, è una di queste!
Il castello di Issogne è il nostro maniero valdostano preferito; nel corso degli anni l’abbiamo visitato innumerevoli volte ma eravamo in trepidante attesa per questa serata, sicuri che Omar ci avrebbe presentato il castello sotto una luce completamente nuova.
La storia del castello
Le prime fonti attestano la presenza di una villa romana già nel I secolo d. C. – cioè poco dopo la fondazione di Aosta (Augusta Praetoria) – di cui si possono ancora vedere alcune tracce nelle pietre usate alla base del castello attuale.
Il possedimento divenne poi proprietà del vescovo di Aosta, che vi edificò una casaforte. Nel 1379 passò alla famiglia Challant, che nel giro di qualche anno si confermò come la più importante famiglia nobile valdostana. La storia del castello è legata indissolubilmente alle vicende dei Challant, e in particolare alla figura di Giorgio di Challant, che sul finire del 1400 venne incaricato di edificare una dimora degna della casata in occasione del matrimonio del nipote, l'erede al titolo. Ed è così che il castello rifiorì e divenne la splendida dimora rinascimentale che ancora oggi possiamo ammirare praticamente inalterata.
Per secoli il castello fu spettatore immobile delle vicissitudini di famiglia, alcune delle quali degne di una soap opera dell’epoca. Come la storia di Bianca Maria, il “fantasma ufficiale” del castello: prima moglie del conte Renato, fuggì pochi mesi dopo il matrimonio e venne decapitata nel 1526 con l'accusa di aver ucciso un amante. Si racconta che il suo spettro abbia un comportamento molto libertino, e che si aggiri per il castello importunando soprattutto i visitatori di sesso maschile...
Il povero Renato dovette affrontare anche un secondo scandalo quando la figlia Filiberta, alla vigilia delle nozze, fuggì con un palafreniere di cui si era innamorata portando con sé una parte del tesoro di famiglia. Renato salvò la situazione sostituendo Filiberta con la sorella Isabella nel contratto nuziale con il futuro genero.
Dopo estenuanti lotte di successione e la causa legale che ne seguì, durata ben 131 anni, nel 1804 morì Filippo Maurizio e nel 1837 Teresa, ultimi discendenti degli Challant: così la dinastia vide ufficialmente la sua fine. Il castello passò di mano in mano fino al 1872, quando venne acquistato dal pittore torinese Vittorio Avondo, che lo restaurò attenendosi alla storicità dei luoghi e lo riarredò con mobili originali recuperati sul mercato antiquario.
Oggi il castello è proprietà della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Dall’autunno 2018 è stato inaugurato un nuovo percorso di visita che include gli appartamenti ottocenteschi di Avondo.
La visita del castello: il cortile
Iniziamo la visita dal cortile, affrescato interamente con stemmi della famiglia. Chi entrava nel cortile si trovava immerso nei colori degli Challant, ovvero il rosso, il bianco (che equivaleva all’argento) ed il nero; probabilmente anche l’esterno dell'edificio non era grigio come appare oggi ma riprendeva i tre colori araldici con la facciata dipinta di bianco e le finestre bordate da cornici in finta pietra (nere) o finti mattoni (rossi).
Al centro troneggia la fontana del melograno, splendido manufatto in ferro battuto che nel 1400 appariva completamente colorata creando l’illusione di trovarsi di fronte ad un albero reale. Avvicinandosi ci si sarebbe accorti dell’acqua che zampillava dai rami, delle foglie di quercia, dei frutti del melograno e dei piccoli draghi, e solo allora l’inganno sarebbe stato svelato.
Questa fontana presenta numerose allegorie. Il vaso ottagonale in realtà è un fonte battesimale, simbolo di rinascita legato alla rinascita della famiglia dopo le lotte di successione; l’albero è l’albero della vita; le quattro bocche sono i quattro fiumi del Paradiso terrestre; le foglie di quercia rappresentano la virtù cristiana della fortezza, equiparabile al moderno concetto di resilienza; la melagrana che racchiude in sé tutti i suoi chicchi raffigurava sia i sudditi raccolti sotto la protezione del signore sia l’unità dei membri della famiglia.
Sul cortile si affaccia un porticato ad arcate con un soffitto con volte a crociera, che custodisce un vero e proprio tesoro artistico: una serie di affreschi, le cosiddette “lunette”, raffiguranti scene di vita quotidiana del tempo che vanno interpretate secondo una chiave di lettura allegorica e concettuale.
La prima lunetta ci mostra una scena del corpo di guardia, in cui i soldati sono raccolti intorno ad un tavolo con le armi appese ad un chiodo, a significare che il signore era così buono da garantire la pace ai suoi sudditi. Alcuni soldati stanno giocando, uno sta bevendo con una prostituta e alcuni stanno litigando: una condanna del gioco visto come fonte di vizi e violenza. Questo affresco è importante anche perché vi troviamo un graffito che identifica il "Metro Colin pintr" (maestro Colin pittore) come autore dell’opera. All'epoca scrivere sui muri e sugli affreschi non era un atto di maleducazione ma una consuetudine con la quale si annotavano date importanti, battute scherzose o lamentele.
Ci spostiamo verso quello che comunemente viene definito “l’affresco del panettiere e del macellaio”. Ciò che vi è raffigurato in realtà è una boutique du patissier (bottega del pasticcere). Nel medioevo il pasticcere non cucinava dolci ma pasticci salati e infatti nell’affresco si stanno realizzando delle sorte di moderne tourtières canadesi, sformati di pasta sfoglia al cui interno venivano messe frattaglie insaporite con abbondanti spezie per migliorarne il sapore.
Nella lunetta del mercato si vede frutta di tutte le stagioni: cosa impossibile per l’epoca, era uno stratagemma per ostentare la ricchezza degli Challant. La lunetta del sarto è invece ricca di stoffe, colori e tanti graffiti, anche scherzosi ed ironici come quello che recita “ladri sono i sarti”.
Arriviamo alla lunetta dello speziale, a nostro giudizio la più bella. Lo speziale era il farmacista dell'epoca e nella sua bottega vediamo raffigurate le tre arti mediche del tempo: quella ufficiale rappresentata dalle spugne soporifere (intrise di etere) appese al soffitto; quella popolare rappresentata dai vasetti con le erbe per preparare gli infusi e dai fiaschi foderati di paglia con i distillati di acquavite, di viola, di giglio, di melissa; quella religiosa degli ex voto e delle candele votive a forma di gamba, piede o corpo intero.
L’ultimo affresco è quello del negozio di generi alimentari, nel quale sono raffigurati formaggi e botti che contengono le aringhe. A quei tempi non si mangiava la carne non solo tutti i venerdì, ma anche durante tutto l’avvento e tutta la quaresima, quindi necessitavano grandi quantità di pesce e latticini per sostituirla.
La visita del castello: il piano nobile
Entriamo dalle cucine, passiamo dalla sala da pranzo, saliamo dalla scala di servizio al primo piano e raggiungiamo la bella cappella, lunga e stretta, divisa in due da una cancellata in legno che forse serviva a dividere la zona riservata ai nobili da quella assegnata alla servitù.
Usciamo sul loggiato che domina il cortile e la nostra guida Omar ci fa notare alcune scritte. La prima, situata proprio sulla porta che dobbiamo attraversare per entrare sullo scalone principale dice: “Tous ceulx que maldise d'autruy et rapporte nentre ceans nous luy deffendons lapporte car que d'austruy mal dira le diable l’empourtera (tutti quelli che dicono male degli altri o lo riportano, non vi diamo il permesso di entrare perché chi degli altri male dirà il diavolo se lo prenderà).
La seconda è una grande scritta in caratteri gotici proprio sulla porta del magazzino delle tappezzerie, che recita appunto: “La garderobe de la tapisserie”. Quando c’erano ospiti le tappezzerie, arazzi e tendaggi, venivano esposte oppure conservate qui.
In seguito entriamo negli appartamenti che furono di Giorgio di Challant. Il soffitto a cassettoni è ancora quello originale di fine 1400, decorato con le croci dell’Ordine Mauriziano di cui il nobile faceva parte. Dalla camera si accede ad un piccolo oratorio privato pregevolmente affrescato con scene della crocefissione, della pietà e della deposizione, in cui si vede lo stesso Giorgio ritratto in ginocchio vicino alla croce.
Arriviamo alla torre di segnalazione, il punto più elevato del castello. Da qui si vedevano altri 5 castelli: quello di Challant-Saint-Victor, quello di Verrès e i tre di Arnad. All'epoca da ogni fortezza valdostana se ne vedevano almeno altre due, in modo che in caso di necessità o pericolo si potessero inviare rapidamente messaggi con degli specchi, lanterne o fuochi.
Passiamo poi per una piccola saletta che per molti visitatori potrebbe essere priva di interesse, ma ci viene fatto notare come sulle pareti ci siano rette parallele, poligoni, i teoremi di Pitagora e di Euclide... Sì, avete intuito bene: siamo in un’auletta scolastica in cui si insegnava la matematica.
Raggiungiamo la cosiddetta "sala del re di Francia". All’epoca in ogni castello vi era una camera in grado di ospitare personalità importanti. Questa stanza è decorata da una finta tappezzeria a strisce colorate di grande effetto, ha un grande camino decorato con i gigli dello stemma reale francese ma è il soffitto a cassettoni ad attirare la nostra attenzione: decorato con gigli dorati, illuminato dall'incerta luce delle candele doveva proprio sembrare un cielo stellato.
Iniziamo a scendere una scala a chiocciola in pietra, composta da circa un centinaio di gradini molto larghi, che per rendere più agevole la salita ha la pendenza che diminuisce leggermente man mano che si sale, mentre i gradini si fanno più sottili.
Infine visitiamo quella che oggi viene chiamata “sala delle armi” in base alla disposizione data da Vittorio Avondo, che qui raccolse la sua collezione di armi e armature antiche, ma è noto che in origine era una camera da letto. Io (Sandra) non riesco a trattenermi dal giocare davanti al grande specchio e se io (Andrea) non l'avessi fermata la tentazione di prendere una spada o un elmo e provarlo avrebbe prevalso su ogni regola o raziocinio...
La visita del castello: la sala della giustizia
Torniamo al piano terra ed entriamo in quella che da tutti viene definita come la sala più bella del castello (e noi siamo pienamente d’accordo): la sala della giustizia.
Si tratta di una grande sala rettangolare con le pareti completamente affrescate con scene di caccia e di vita cortese, su cui svetta il grande affresco centrale del giudizio di Paride, in cui probabilmente viene raffigurato Giorgio di Challant.
Questo è l'ambiente più significativo e importante, quello in cui si ostentava tutta la grandezza del signore e dove si accoglievano anche gli ospiti. Nei documenti dell’epoca viene chiamata “la salle basse”, ovvero stanza bassa (situata cioè al pianoterra), in contrapposizione agli appartamenti signorili posti al primo piano.
Alla fine della visita di questo splendido castello mi sono soffermata a leggere il motto degli Challant ricamato su alcuni cuscini “Tout est et n'est rien” (Tutto è, e non è niente) e ho riflettuto su come tutto, nella vita e nella storia, passi così velocemente: ma per una sera quel mondo passato è tornato a rivivere nei racconti della nostra guida d'eccezione Omar.
Il castello è facilmente raggiungibile e dispone di un comodo parcheggio, per ogni informazione più dettagliata e aggiornata vi rimandiamo al sito ufficiale.